Ogni essere umano, nei periodi di grande cambiamento (e, quindi, di grande turbamento), si trova sempre di fronte a una scelta fondamentale: farsi sempre più domande, ampliando il proprio orizzonte mentale, oppure smettere totalmente di guardarsi attorno e accontentarsi di risposte preconfezionate. Se si prende la prima strada, si comincia realmente a pensare. La capacità di pensare, infatti, aumenta proporzionalmente alla capacità – e al coraggio – di porsi domande. È la strada da sempre battuta dagli autentici filosofi e dai saggi, che conduce a una rapida crescita interiore.
Il grande metafisico e matematico Leibniz, ad esempio, si pose la celebre domanda: perché l’essere e non il nulla? È chiaro che per porsi un quesito del genere, senza correre a cercare risposte precostituite, bisogna essere tremendamente temerari. Ogni essere umano che inizia a pensare tenderà, inoltre, a porsi le tre domande che hanno ispirato il celebre dipinto di Gauguin: chi sono, da dove vengo, dove vado?
Tuttavia, si può anche imboccare la placida e serena via del dogmatismo, optando per risposte preconfezionate e rassicuranti. Quelle risposte, però, saranno sempre le risposte degli altri, e mai le nostre. Quella delle risposte preconfezionate è una strada tranquillizzante e, per certi versi, conveniente, anche se poco utile per la crescita personale. Chi la sceglie avrà sempre la risposta pronta, saprà sempre cosa dire e cosa “pensare”, avrà tante opinioni ma avrà barattato questa solidità ideologica con una moneta molto preziosa: la rinuncia alla propria originalità e, peggio ancora, alla propria autenticità.
Le domande sono estremamente potenti, soprattutto se si attende la risposta con la giusta disposizione interiore, senza fretta, nel silenzio interiore. Le domande preludono alla conoscenza di sé e del mondo. Il primo individuo che intuì questo fatto, almeno tra i personaggi che ci sono storicamente noti, fu Socrate nel IV secolo avanti Cristo. Le sue domande incalzanti mettevano in crisi i benpensanti ateniesi, facevano crescere le persone sul piano interiore e, soprattutto, incoraggiavano i giovani della polis greca a non accontentarsi delle risposte preconfezionate. Sappiamo tutti come andò a finire. Socrate fece arrabbiare molte persone e fu condannato a morte con l’accusa di empietà. Nonostante ne avesse la possibilità, si rifiutò di fuggire da Atene e accettò serenamente il suo destino, bevendo la cicuta. Il testimone di Socrate fu raccolto da Platone, che però fu più cauto del suo maestro: fondò un’Accademia cui potevano accedere soltanto in pochissimi (cioè gli iniziati a una conoscenza più profonda, come suggeriva la leggendaria iscrizione sul suo frontone: “Nessuno entri che non sia geometra”).

Nel corso dei secoli, questa disposizione interiore – cioè l’attrazione per le domande aperte, anziché verso i sistemi chiusi – pur restando minoritaria attraversò la storia dell’Occidente. Il pensiero di Socrate non si estinse, ma si sviluppò. In un certo senso, può dirsi sul solco del metodo socratico chiunque punti, tramite le domande, a far emergere la verità interiore di una persona, anziché a immettere nozioni e dogmi dall’esterno, come se la testa dell’interlocutore fosse un contenitore: una scatola o, magari, una pennetta Usb con una determinata capacità di memoria. Infatti, le persone hanno qualità e talenti interiori che si possono sviluppare solo lasciandole crescere in modo armonico. Questo è anche il senso della maieutica socratica. Ognuno deve essere incoraggiato a trovare da sé la verità. L’esatto opposto del nozionismo.
In fondo, anche tutte le tecniche attive sviluppate nel Novecento poggiano su questo atteggiamento di fondo. Non voglio dirti come stanno le cose: voglio che sia tu a trovare la tua visione, con le tue risorse interiori. Una tecnica attiva particolarmente fortunata è il coaching.
Il coaching è una tecnica attiva finalizzata a risvegliare il potenziale del cliente e a portarlo al raggiungimento del suo obiettivo, cioè per condurlo da un punto A a un punto B (il termine inglese coach, del resto, è tradotto in italiano con la parola carrozza). Questa metodologia – che come dicevo, dal mio punto di vista, è di derivazione socratica – serve a favorire il raggiungimento degli obiettivi sostenendo la crescita delle risorse interiori di una persona.
John Whitmore, che viene tradizionalmente considerato il padre del coaching moderno, ha elaborato un modello – in parte superato, in parte ancora molto valido nell’ambito della crescita personale – definito GROW.
Questo modello è incentrato sulle domande e si struttura in quattro fasi:
- Obiettivo (Goal): la prima fase è volta a delineare un obiettivo desiderabile;
- Realtà (Reality): la seconda fase, invece, è finalizzata a inquadrare la situazione attuale: cosa ci sta aiutando nella realizzazione dell’obiettivo e cosa, invece, ci sta ostacolando;
- Opzioni (Options): la terza fase è volta all’esplorazione delle opzioni a disposizione, usando anche il pensiero creativo;
- Volontà (Will): la quarta e ultima fase, infine, è finalizzata alla messa a punto di un piano d’azione;
Ovviamente questa è una sintesi estrema del modello, che è ben più complesso e che nelle mani di un consulente esperto – e, soprattutto, di un cliente davvero motivato – può permettere una forte accelerazione nel processo di crescita personale. Ogni fase del modello, comunque, è caratterizzata da domande specifiche (non è questa la sede per analizzarle: per chi vuole approfondire, può leggere J. Whitmore, Coaching, Milano, Unicomunicazione, 2017).
In realtà, a ben vedere i presupposti del coaching sono stati creati da due grandi personaggi del Novecento: Roberto Assagioli, fondatore della psicosintesi, e Abraham Maslow, che nella sua celebre piramide dei bisogni spostò il focus dalla ricerca dello status sociale al bisogno di autorealizzazione. Non mi dilungo sul tema, perché approfondirò le idee di Assagioli e di Maslow in altri articoli.
Il coaching, comunque, è soltanto una tappa del metodo socratico, che a mio avviso è destinato a svilupparsi ulteriormente e ad assumere nuove forme. Sono sempre di più, infatti, le persone interessate alla crescita personale, e il mezzo più potente per favorirla sono proprio le domande; più coraggiose sono, meglio è.
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Riccardo Fraddosio
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L’immagine che apre l’articolo è un dettaglio dell’affresco della Scuola di Atene di Raffaello.
Disclaimer
Il coaching non può essere utilizzato come terapia sostitutiva in caso di patologie di carattere psichico o di altro genere. Il coaching è una metodologia non scientifica, completamente differente dalla psicoterapia e da qualsiasi forma di sostegno e intervento psicologico. Il coaching non è una terapia, si concentra in pochi incontri ed è orientato al futuro, cioè al raggiungimento degli obiettivi di una persona in linea con la sua missione individuale.


